Author: Anders Ge.
Dal romanzo Le locataire chimérique di Topor, Polański getta un inquietante sguardo sull’insicurezza dell’abitazione, che non pare essere quel luogo sicuro che ci si aspetta che sia.
Trelkowski, impiegato ebreo-polacco che sta cercando casa a Parigi, affitta un appartamento precedentemente abitato da Simone Choule, che ha di recente tentato il suicidio gettandosi dalla finestra ed ora si trova ricoverata in gravi condizioni all’ospedale. Prima di trasferirsi nell’appartamento, si reca in ospedale per farle visita e qui conosce Stella, una sua amica. Saranno però costretti a lasciare l’ospedale quando Simone, appena uscita dal coma, vedendoli comincia ad urlare, apparentemente senza alcun motivo. La poveretta muore il giorno stesso e lui può quindi prendere possesso dell’appartamento. Ma dopo essersi trasferito avverte che gli altri inquilini cominciano ad avere strani comportamenti ed atteggiamenti ostili e insofferenti nei suoi confronti. Allo stesso modo gli pare che i negozianti della zona lo trattino come Choule, la precedente affittuaria. Un poco alla volta comincerà a sprofondare in un baratro di paronia, dubbio e sospetto, da cui non sarà possibile fare ritorno e che lo porterà a dubitare di tutti, anche della sua identità. Gli inquilini si fanno via via più insensibili e feroci nei confronti del nuovo arrivato, dimostrando sempre più insofferenza ai rumori molesti che gli attribuiscono. Con una serie di angherie e dispetti non perdono occasione per indurlo a seguire la stessa sorte della povera Simone. E se in un primo momento lui asseconda la situazione poi, spaventato, tenta inutilmente la fuga. Il destino è segnato e ci accompagna fino all’ultima spiazzante, quanto inquietante, scena finale.
Roman Polański (Trelkowski)
Tratto dal romanzo del 1964 “Le locataire chimérique”, Roland Topor, L’inquilino del terzo piano (Le Locataire) è un film di Roman Polański del 1976, terzo nella “trilogia dell’appartamento”, i cui primi due capitoli sono “Repulsione” (Répulsion, 1965) e “Rosemary’s Baby - Nastro rosso a New York” (Rosemary’s Baby, 1968).
Nel cast, oltre allo stesso regista — non accreditato — nel ruolo di Trelkowski , figurano anche la bellissima Isabelle Adjani (Stella), Melvyn Douglas (Monsieur Zy), Jo Van Fleet (Madam Dioz) e Shelley Winter, nella parte della portinaia.
Intenso thriller psicologico, trae forza nell’identificazione dello spettatore con le debolezze e l’alienazione del protagonista, che si sente vittima di soprusi e prevaricazioni, diventando metafora della difficolta del saper gestire il giudizio altrui, di una società prepotente ed egocentrica, che diffida e scarta i deboli cercando di fagocitarli e spersonalizzarli, fino all’annientamento morale e fisico.
Shelley Winter (la portinaia) e Roman Polański
Uscito sette anni dopo la strage di Cielo Drive, a Los Angeles, in cui alcuni ferocissimi teenagers appartenenti alla Family, la setta di Charles Manson, uccisero cinque persone tra cui Sharon Tate, la bellissima moglie del regista franco-polacco, rising-star hollywoodiana all’ottavo mese di gravidanza, L’inquilino del terzo piano, ribadisce come l’abitazione, la casa, asilo di anima e corpo dell’uomo, non sia uno spazio sicuro.
Ma se con i precedenti Repulsione e Rosmary’s Baby a farne le spese erano state Catherine Deneuve e Mia Farrow, qui è lo stesso Polański che espone sé stesso alla macchina da presa, in questo viaggio verso la follia, dirigendosi e interpretando la parte del mite impiegato Trelkowski.
Completamente fedele al romanzo di Topor, dal quale differisce solo in piccoli particolari, senza però risultare impersonale, il film è costruito magistralmente e funziona in ogni suo momento. Le situazioni si susseguano con un montaggio che può risultare sconnesso e spiazzante, ma che contribuisce a immedesimarsi ancora di più nella caduta di Trelkowski verso l’abisso della paranoia e del sospetto. La regia è magistrale ed ogni inquadratura riesce a portare lo spettatore in uno stato di precarietà ed ansia crescente, facendolo sentire sempre più vicino agli stati d’animo del protagonista.
Se in Rosemary’s Baby, lo spettatore non è sicuro della sanità mentale della protagonista, qui si è portati a pensare che Trelkowski sia realmente in una situazione di psicosi e di paranoica autosuggestione. È lui, vittima e carnefice di sé stesso, a dare il via a tutto quello che gli succede.
Anche se il dubbio resterà sempre presente, sottile ed insidioso.
L’inquilino del terzo piano è il primo film ad utilizzare la “Louma”, una gru snodata con controllo a distanza a cui è fissata una macchina da presa, grazie alla quale si possono effettuare riprese morbide e continue, con linee di ripresa elaborate e da luoghi negati alle normali gru. Grazie al suo utilizzo Polański ottiene dei risultati decisamente suggestivi — come, ad esempio, la scena che accompagna i titoli di testa. Stupende anche le inquadrature riservate alla tromba scale del condominio, che ricordano la circolarità del fluire degli eventi - e contemporaneamente citano “La donna che visse due volte” (Vertigo, 1958) di Alfred Hitchcok.
Nell’edizione italiana (come anche in quella inglese) è lo stesso Polański a doppiarsi, dando maggiore risalto al fatto che Trelkowski non sia francese di nascita, ed il risultato finale è ottimo.
La colonna sonora, composta da Philippe Sarde, collaboratore di registi come Claude Sautet e Bertrand Tavernie, contribuisce alla resa della pellicola, aleggiando con il suono del contrabbasso sul film, precisa e mai prevaricante l’immagine. Il compositore fa anche un piccolo cameo nel film: è lo spettatore che Trelkowski e Stella disturbano nella sala cinematografica.
La pellicola non ebbe un gran successo negli Stati Uniti, probabilmente anche per via della sua natura surrealista, ma andò bene in Europa, specialmente in Francia dove fu selezionato per partecipare alla 29ª edizione del Festival di Cannes. L’anno successivo, nel 1977, fu anche candidato per un premio César come migliore scenografia ad opera di Pierre Guffroy che ricostruì magistralmente gli interni e, con un abile gioco di specchi, riuscì a restituire la sensazione di uno stabile composto da quattro piani, invece dei due reali.
Isabelle Adjani (Stella) e Roman Polański
Non furono pochi a vedere affinità tra il protagonista del film ed il regista stesso che condividevano la condizione di ebrei polacchi naturalizzati francesi (nel libro il protagonista è invece russo), nonché il disagio di vivere in una società maldisposta nei confronti delle loro origini.
Il film resta enigmatico fino alla fine, dove darà il suo “colpo di grazia” allo spettatore che sarà legittimato alla ricerca di quella che può essere la giusta chiave di lettura: a vessar il protagonista sono realmente i vicini, o è lui vittima delle sue paranoie a fraintendere le situazioni?
Quello di cui siamo stati spettatori è reale, oppure tutto è il frutto della mente di Simone, in coma in ospedale?
O quale altra visione potremmo trovare? Perché ce ne sarebbero altre, ma preferisco non menzionarle per non svelare troppo del film a chi non lo avesse ancora visto– o del libro, per chi non lo avesse letto.
Ma le domande restano e le risposte sono solo dentro di noi.
Roman Polański
Si tratta di un film, anzi di un’opera, magistrale.
Indubbiamente una pellicola da manuale della cinematografia, che strega e spinge ad essere rivista e a leggere (o rileggere) il romanzo di Topor.
Affascinante ed inquietante in modo unico, riesce a sedurre e a dare nuovi stimoli ad ogni visione.